Carta d’intenti
Gli opposti si attraggono!
Ed-work nasce da una suggestione: ricomporre gli opposti. Il vecchio e il nuovo, il dentro ed il fuori, l’alto e il basso.
Abbiamo una convinzione: l’innovazione sociale nasce nei luoghi e grazie alle idee che riescono a tenere insieme ciò che altrimenti rimarrebbe separato, frammentato, sconosciuto.
Il vecchio e il nuovo: intrecciare passato e presente
Siamo partite da una grande passione per il tema dell’educazione, che accomuna le nostre storie di vita e lo sguardo con cui ognuna di noi guarda il mondo, nel proprio piccolo.
Ci siamo formate appassionandoci all’infinito patrimonio di sperimentazioni e pratiche del passato ancora oggi innovative ed attuali, che non sono mai diventate “sistema”.
Da qui la prima dicotomia che sentiamo l’esigenza di ricomporre: il vecchio e il nuovo. Crediamo fortemente che l’innovazione in ambito scolastico ed educativo possa nascere intrecciando l’eredità del passato con le sfide del presente.
Il dentro e il fuori: abbattere il confine fra scuola e mondo
La seconda sfida ha a che fare con i confini: il confine fra ciò che è considerato scuola e ciò che invece rimane fuori, ovvero il mondo circostante.
Per noi questo confine non esiste: ognuna di noi interpreta la propria professione in chiave educativa, esercitando un continuo lavoro di saldatura fra ciò che fa e il potenziale educativo che la propria professione ha.
Siamo convinte che, come noi, molti e molte vivono portando la scuola nel cuore. E sentono il bisogno di creare un nesso fra la propria professione o passione e la miccia che potrebbe accendere nei ragazzi e nelle ragazze, se solo avessero la possibilità di guardare da vicino, toccare con mano, sperimentare.
Ed-work nasce proprio dall’idea di abbattere il confine fra la scuola e il mondo e tenere insieme il dentro e il fuori.
L’alto e il basso: perché la scuola ha bisogno dell’innovazione sociale
La nostra esperienza in ambito educativo viene dal campo istituzionale, delle associazioni, dei movimenti. Di una cosa ci siamo convinte: una delle principali ragioni per cui non si è ancora riusciti a dare vita al cambiamento profondo di cui la scuola, nel suo complesso, ha bisogno, risiede nei due opposti approcci da sempre utilizzati.
L’’approccio bottom-up, a partire da ardite e rivoluzionarie pratiche educative, ha provato a influenzare la cultura pedagogica e a farsi sistema. Nei casi migliori, si è riusciti a costruire movimenti pedagogici di grande successo e a riprodurre qui e là e nel corso del tempo esperienze significative. Si è fallito, senz’altro, nel rendere queste esperienze una scuola riformata, per tutti.
L’approccio top-down, fallimentare di per sè dentro a istituzioni grandi, multiformi, complesse, fatte da e per le persone, nel migliore dei casi ha saputo aggiustare o rammendare, di volta in volta, qualche aspetto problematico, soprattutto là dove è riuscito a coinvolgere e attivare non soltanto i corpi intermedi tradizionali – in crisi come in ogni altro ambito della società – ma anche le comunità scolastiche.
La scuola italiana, per uscire da questo stallo, ha bisogno dell’innovazione sociale. Ha bisogno di attivare e abilitare le comunità locali rispetto a progetti di sviluppo complessivi per i territori; ha bisogno di aprire la discussione, ovunque c’è una scuola, su come migliorare la vita di quelle comunità e di quelle persone.
Ha bisogno di cedere potere alle reti attive e a quelle che potranno nascere, di coinvolgere attori nuovi e ancora da venire, rispetto a compiti, funzioni e forme di ogni specifica istituzione educativa nel luogo in cui risiede.
Ha bisogno di presidiare, questo sì, rispetto alle funzioni costituzionali e ai diritti irrinunciabili di ogni bambino e bambina, dichiarando guerra senza quartiere alle disuguaglianze delle opportunità e investendo risorse per sperimentare e innovare proprio là dove di scuola rinnovata c’è una maggiore urgenza.
La scuola di oggi: responsabilità senza potere
La scuola in questi anni è invece stata lasciata sola nel provare a vincere le enormi sfide educative che questo mondo complicato le consegna. Alle moltissime responsabilità alle quali è chiamata a rispondere, ha corrisposto spesso l’assenza di potere e strumenti reali.
Oasi nei tanti deserti creati dalla modernità, invocata come soluzione salvifica rispetto a ogni problema della società, percepita come sempre più importante di fronte alla crescente complessità e centralità del sapere, la scuola appare però sempre più stanca, incapace di trasformarsi in profondità, impoverita dalla cronica mancanza di mezzi e risorse, ma anche nella sua stessa capacità di ridefinire la propria funzione presente e futura.
Complessità del sapere e sfide educative
La scuola, da sola, non può vincere le sfide educative attuali.
Non soltanto per limiti strutturali o di risorse, ma per la natura stesse di queste sfide.
I ragazzi e le ragazze vivono infatti in società multiproblematiche, in cui si trovano ad affrontare una complessità sempre crescente e nelle quali il sapere è frammentato e diffuso, frutto di esperienze e percorsi diversi.
Viene richiesta loro capacità di adattamento continuo, creatività, innovazione; ma i luoghi che dovrebbero aiutarli a sviluppare queste abilità sono rigidi e settari.
Molteplicità dell’esperienza dell’apprendimento
La molteplicità delle esperienze di apprendimento può essere però la chiave per vincere le sfide educative attuali.
Per farlo, è necessario smetterla di separare ciò che nella realtà è impossibile da scindere. Superare l’idea che l’apprendimento possa essere diviso in tante piccole “caselline”, che possa essere inquadrato all’interno di singole materie in un approccio disciplinare che divide il sapere dal saper fare, le competenze formali dalle informali e così via.
Basta trasmettere: Iniziamo a ricomporre
Invece di trasmettere, la scuola dovrebbe iniziare a ricomporre. Ricomporre quel sapere appreso nei tanti “Terzi Spazi” (Potter, Mc Douglas): luoghi, diversi dalla scuola e dalla famiglia, nei quali si impara nell’esperienza e nella relazione.
La scuola diventa quindi il luogo nel quale creare una cornice di senso: riorganizzare, sviluppare, affinare, codificare le competenze sperimentate nel terzo spazio. Nel quale acquisire le competenze strategiche per il futuro. L’insegnante abbandona il suo ruolo di depositario di conoscenza e diventa una guida esperta nel viaggio della crescita.
La differenziazione fra esperienza pratica e teorica viene meno, perché oggetto dell’apprendimento diventano le esperienze formative reali e quindi l’acquisizione di quelle competenze di cittadinanza senza le quali diventa impossibile progettare se stessi e il proprio cammino nel mondo.
Il digitale come parte del reale
Fra queste esperienze del reale, non può mancare la tecnologia digitale, che deve però essere un mezzo e non un fine dell’apprendimento. Il digitale deve infatti essere parte integrante degli strumenti della scuola perché è parte integrante della vita. Deve contribuire a costruire una nuova dimensione dell’apprendimento, non semplicemente sommarsi o tentare di riprodurre ciò che si fa in classe.
Anche in questo caso, la chiave è tenere insieme ciò che solo teoricamente può risultare separato: nell’ottica della Sociomaterialità (Rivoltella), la realtà virtuale diventa materiale. Il confine fra le due dimensioni sfuma, lasciando il posto ad un continuo scambio e passaggio fra virtuale e reale. Si passa dall’online all’onlife.
Per orientarsi in questo nuovo mondo occorre una bussola, che “rompa le scatole” degli ambiti del sapere e anche del modo di vivere e di imparare che abbiamo sin qui conosciuto.
Progettar(si) per non essere progettati
Le traiettorie di vita lineari (tempo per lo studio, tempo per il lavoro, tempo per il riposo) che hanno contraddistinto le passate generazioni, non torneranno più. Costruire il proprio futuro significa oggi – nel tempo della precarietà – orientarsi nella complessità, definire la propria traiettoria aprendo a continui aggiustamenti e cambiamenti, sviluppando le proprie capacità adattive e prendendo atto che imparare è un processo continuo, non confinato a un’unica fase della vita.
Bisogna quindi – per dirla con Enzo Mari – progettare per non essere progettati.
Questo diventa particolarmente determinante nei contesti dove maggiore è il rischio di povertà ed esclusione sociale. Per spezzare il circolo vizioso tra bassa istruzione, lavoro povero, formazione di nuove famiglie povere e con bassa istruzione, occorre – accanto alla lotta senza quartiere alle disuguaglianze – investire fortemente sulla capacità di aspirare (Appadurai) come pre-requisito di ogni possibilità di progettare la propria vita.
In questi contesti, più che mai, occorre offrire opportunità educative che consentano a bambini/e e ragazzi/e di confrontarsi con le problematiche complesse del mondo in cui vivono, allenandone la capacità di analisi degli scenari futuri probabili e auspicabili, sostenendone la capacità di immaginare soluzioni collettive per il cambiamento, del quale possono e devono sentirsi parte attiva.
L’attivazione dei territori attorno a queste opportunità educative è la chiave possibile – non solo per incidere sulle traiettorie individuali – ma per migliorare la vita delle persone e delle comunità. Per cambiare le cose.
Ci piacerebbe sapere cosa ne pensi!
Ci piacerebbe che questa riflessione sul tema educazione non rimanesse isolata, ma si arricchisse attraverso il punto di vista di tanti e tante che come noi hanno voglia di percorrere nuove strade per innovare il mondo dell’apprendimento.
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