Molto partecipato l’incontro online organizzato da Ed-Work per riflettere sul tema
Il 14 febbraio ci siamo incontrate, all’ora dell’aperitivo, per un primo confronto su un tema che ci è caro e che coinvolge, a nostro parere, il senso e significato dell’essere scuola.
Avevamo tutte la stessa intenzione: capire insieme come attuare la riforma sull’orientamento voluta dal decreto 383 del 22 dicembre, cercando di superare le difficoltà di quanti, come i docenti ad esempio, si sono visti investiti “anche” di questo.
Dopo aver intervistato Cesare Moreno sul punto (qui trovate il video), abbiamo lanciato un appello pubblico per un incontro online a partire da alcune domande, al quale hanno aderito in molti/e.
Con noi socie Ed-Work c’erano dirigenti scolastici, docenti, esperti di politiche giovanili oltre a referenti di realtà del terzo settore. Ci siamo sentiti tra amici, nel condividere insieme le opportunità aperte da questo decreto. Prima fra tutte quella di aver rimesso al centro il concetto stesso dell’orientamento, inteso – nel suo senso più ampio – come prendersi cura dei giovani impegnati nel definire e ridefinire gli obiettivi personali e il proprio percorso di vita e nel sostenere le relative scelte. Si esce finalmente da quella prospettiva molto ristretta per cui si parlava di orientamento solo come scelta verso la scuola superiore o verso il mondo del lavoro o, addirittura, da una sua visione strumentale per cui l’orientamento serve alle scuole per “fare nuovi iscritti”.
Abbiamo insieme condiviso la visione di una scuola che vuole fare dell’orientamento il suo centro e, nel contempo, la complessità della sua attuazione, a partire dalle principali criticità. Come quella delle competenze, perché se è vero che la scuola non dovrà essere sola in questa impresa (il decreto parla di un processo condiviso reticolare e co-progettato con il territorio) è vero anche che non sempre nel terzo settore si posseggono le competenze adeguate. E poi quali sono le competenze “giuste”? A quale mestiere/disciplina appartengono? Su questo serve un ulteriore confronto, con il coinvolgimento di tutte le istituzioni interessate.
Ci siamo confrontati anche sui temi più dibattuti, i docenti tutor e l’E-portfolio. Di quest’ultimo in particolare è emerso il valore “vivo” che può avere la documentazione, per conservare memoria, ricomporre e valorizzare il sapere appreso nei tanti luoghi e spazi nei quali si impara dall’esperienza e dalla relazione. È emersa quindi una visione della scuola plurale, abitata da più figure che agiscono, fin dalla primaria, con una visione comune e in cui l’orientamento non è un obbligo, ma una opportunità che ci invita anche a ripensare il nostro “modello” di scuola, il nostro perché. È emersa una visione centrata di più sull’istituzione scolastica come portatrice di valori e di azioni concrete nel territorio: il docente tutor svolge dunque il proprio specifico ruolo all’interno di una istituzione che punta ad avere una funzione orientativa nei confronti dei ragazzi, il che ci è sembrato un concetto molto ampio e interessante. In questo modello ideale i docenti tutor si formano valorizzando il loro mestiere e sviluppando semmai maggiori consapevolezza, abitudini ed esperienze nella didattica orientativa che è proprio all’interno della loro missione. Ma pensare che questo ruolo possa essere assolto solo da un singolo docente è controproducente oltre che poco realistico. Per questo questa figura è stata più immaginata come un referente che facilita e promuovere l’intenso e necessario dialogo della scuola con l’esterno.
Nel dialogo, davvero fecondo, sono emersi tantissimi temi. Troppi spunti per dare spazio a tutti in un singolo post. Come modalità e spazio di azione abbiamo parlato tra l’altro di capacità progettuali, di gestione dell’imprevisto, di fallimento, della centralità dei territori e della dimensione metropolitana; come ulteriore criticità della modalità dei finanziamenti, che rischia di affogare le scuole.
Non è mancata l’attenzione alle tante piattaforme digitali dedicate all’orientamento, da usare con parsimonia perché si rischia di riproporre un uso strumentale del digitale, per mettere un segno di spunta. Nascondendo invece le potenzialità del digitale nei processi di empowerment, nel proporre modelli, sistemi e riferimenti magari inesistenti nei territori più complessi e marginali.
Abbiamo infine condiviso che questo cambiamento così importante non può essere imposto dall’alto, ma che può venire da dentro le scuole, perché troppo spesso i docenti si sentono presi di mira e vengono buttate loro addosso nuove responsabilità, nuovi incarichi, nuove scartoffie. Quando poi però tutto viene condiviso, quando si riflette insieme anche su questi documenti ministeriali, la ratio che ne viene fuori in qualche modo ancora continua ad ispirarli. Lavorare insieme su piccoli progetti, su piccole iniziative, in gruppi riflessivi, può essere quindi la strada che ci porta ad un cambiamento in positivo e verso una crescita nostra, dei ragazzi, della scuole, delle istituzioni.
Ringraziamo davvero tutti per gli spunti, le riflessioni e soprattutto per la fiducia di riuscire in questa impresa complessa. Raccoglieremo i contributi di tutti in un documento unitario che riproporremo ad una riscrittura collettiva, per avanzare ancora insieme. Intanto, condividiamo il Padlet nel quale è possibile appuntare ulteriori spunti.