Per rimettere al centro dignità ed uguaglianza
Dopo tanti discorsi sulla centralità dell’orientamento a scuola, a partire dal settembre 2023 molti docenti saranno impegnati in due nuovi ruoli: tutor e l’orientatore, con l’obiettivo di orientare gli studenti e aiutarli a fare scelte formative e professionali più consapevoli. Nel frattempo, si avvicina il primo maggio, la “Festa del lavoro” e noi in Ed-Work ci domandiamo: cosa viene fatto concretamente nelle scuole secondarie di I e II grado per riflettere sul senso di questa festa oggi?
Il lavoro è infatti una delle più importanti dimensioni rispetto alle quali i giovani possono immaginare il loro futuro, inquadrandola non solo come modalità per guadagnarsi lo stipendio, ma anche come “condizione” per sentirsi utili e apprezzati. Suddetta condizione si basa anche su alcune conquiste sociali che vanno nel senso della dignità del lavoro, che va sempre tutelata e della dignità del lavoratore, che non deve mai essere messa in discussione.
In un contesto tecnologico e professionale sempre più fluido, in cui anche i sindacati stanno riscrivendo la propria identità, riteniamo particolarmente importante consolidare nella percezione di tutti, compresi i giovani, il portato e il significato di queste basilari conquiste sociali.
Ci piacerebbe pertanto che l’humus e il senso più profondo che nutre e sostiene la Festa del 1°maggio – la tutela della dignità del lavoratore – venisse ricompreso nei discorsi sull’orientamento a scuola, perchè orientare è molto di più che fornire previsioni e statistiche su professioni di successo o tecnologie in sviluppo. E’ bensì fornire agli studenti strumenti e supporto per leggere insieme, oggi, il proprio mondo interiore e il contesto esterno per crescere in consapevolezza e in responsabilità, per immaginare un futuro non “preconfezionato” da altri.
Si tratta di una narrazione certamente complessa, perché ha a che fare con la complessità del nostro contesto sociale ed economico, per il quale le politiche spesso non trovano soluzioni adeguate; ha a che fare anche con la consapevolezza di condizioni “non giuste” che a volte riguardano anche persone a noi molto vicine; ha a che fare altresì con le ”grandi dimissioni” e il “disimpegno dal lavoro” con il quale sta emergendo l’ansia e l’insoddisfazione di quanti non riescono a ricomporre il giusto equilibrio tra vita professionale e benessere personale
D’altro canto il tema del lavoro e delle mancate tutele interessa i nostri giovani molto da vicino, in riferimento al loro futuro e al contempo al loro presente, spesso popolato non solo da lavoratori atipici poco o per nulla tutelati, ma anche da tanti coetanei costretti a lavorare molto prima dei 16 anni previsti.
Perché il lavoro giovanile non è un fenomeno che riguarda gli altri paesi, quelli in via di sviluppo, ma anche la civilissima Italia, come emerge dalla recente indagine “NON È UN GIOCO” realizzata da Save the Children. Nel 2013 i minorenni tra i 7 e i 15 anni che hanno sperimentato una forma di lavoro minorile nel nostro Paese sono stati circa 340.000, il 7% della popolazione di riferimento, dicono infatti le stime prodotte a partire dalle interviste effettuate su un campione significativo. Un fenomeno che riguarda in prevalenza la ristorazione (25,9%) e la vendita al dettaglio nei negozi e attività commerciali (16,2%) e a seguire le attività in campagna (9,1%), in cantiere (7,8%), le attività di cura con continuità di fratelli, sorelle o parenti (7,3%) e che l’attività ispettiva condotta dagli organi preposti non riesce di fatto ad intercettare. Chi lo avrebbe mai detto: quasi 1 minorenne su 15!
Il giudizio espresso da questi minori è spesso positivo, così come quello dei loro genitori, che considerano questa esperienza formativa. Si tratta invece di una violazione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, con conseguenze negative sulla salute, sull’educazione e sul benessere fisico e psicologico dei minori coinvolti. La scuola dovrebbe riflettere su questa percezione e rispondere a questa domanda formativa in modo più efficace di quanto abbia fatto con il modello dell’alternanza scuola-lavoro (ora percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento), anche per evitare la ricerca di alternative al di fuori del percorso educativo.
Ma c’è di più: chi ha studiato di meno è più propenso ad accettare lavori a basso costo e ad alto rischio, in un circolo vizioso di povertà e disuguaglianza. E qui Il circolo si chiude: lavoro e scuola sono strettamente collegati, non solo dal punto di vista delle previsioni dell’evoluzione dei contenuti delle professioni e delle tecnologie, ma anche in termini di futuro immaginato, di possibilità, di uguaglianze.